Riduzione Del Canone Di Locazione Per Emergenza Sanitaria
Nella situazione attuale è un problema comune cercare di far fronte al canone di locazione in assenza di entrate economiche o con una forte riduzione delle stesse. Ebbene, quali strumenti hanno i conduttori per cercare di sopravvivere alla situazione?
Con una recente pronuncia il Tribunale di Roma ha evidenziato in primo luogo come ex art. 1467 c.c. si prevista la possibilità di risolvere il contratto qualora le condizioni tra le parti cambino e non siano più equilibrate specificando, però, che “la rettifica delle condizioni contrattuali “squilibrate” può essere invocata soltanto dalla parte convenuta in giudizio con l’azione di risoluzione, in quanto il contraente a carico del quale si verifica l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione non può pretendere che l’altro contraente accetti l’adempimento a condizioni diverse da quelle pattuite. Tuttavia deve ritenersi che lo strumento della risoluzione giudiziale del contratto “squilibrato” volta alla cancellazione del contratto, nella misura in cui quest’ultimo non contenga alcuna clausola di rinegoziazione derogatrice della disciplina legale, soprattutto per i contratti commerciali a lungo termine, possa in alcuni casi non essere opportuna e non rispondente all’interesse della stessa parte che, subendo l’aggravamento della propria posizione contrattuale, è legittimata solo a chiedere la risoluzione del contratto “squilibrato” e non anche la sua conservazione con equa rettifica delle condizioni contrattuali “squilibrate”” (Tribunale di Roma, sez. VI Civile, ordinanza 18 – 27 agosto 2020). In altre parole, il conduttore potrebbe solo richiedere la risoluzione del contratto per grave squilibrio tra le parti ma non la modifica delle condizioni contrattuali che devono pur sempre essere condivise con la proprietà dell’immobile.
La motivazione di detta ordinanza risiede nel fatto che lo svolgimento dell’attività, come quella di ristorazione, è il presupposto della convenzione negoziale ovvero la ragione della stipula del contratto di locazione. “Nel caso delle locazioni commerciali il contratto è stato stipulato “sul presupposto” di un impiego dell’immobile per l’effettivo svolgimento di attività produttiva, e segnatamente nel caso di specie per lo svolgimento dell’attività di ristorazione. Ciò posto, si ritiene che pur in mancanza di clausole di rinegoziazione, i contratti a lungo termine, in applicazione dell’antico brocardo “rebus sic stantibus”, debbano continuare ad essere rispettati ed applicati dai contraenti sino a quando rimangono intatti le condizioni ed i presupposti di cui essi hanno tenuto conto al momento della stipula del negozio. Al contrario, qualora si ravvisi una sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale, quale quella determinata dalla pandemia del Covid-19, la parte che riceverebbe uno svantaggio dal protrarsi della esecuzione del contratto alle stesse condizioni pattuite inizialmente deve poter avere la possibilità di rinegoziarne il contenuto, in base al dovere generale di buona fede oggettiva (o correttezza) nella fase esecutiva del contratto (art. 1375 c.c.)”. (Tribunale di Roma, sez. VI Civile, ordinanza 18 – 27 agosto 2020).